Anamorfosi
Lo spazio come illusione o realtà
Storia e sviluppo
Nella storia dell’arte la prospettiva rappresenta il metodo in grado di dare una restituzione della terza dimensione. Attraverso tale tecnica è possibile riprodurre le esatte dimensioni e forme e la relativa collocazione spaziale di un oggetto. L’anamorfosi inverte tali principi. Dal greco ἀναμόρϕωσις = ana + morfosis, ossia forma ricomposta, essa consiste in un tipo di deformazione proprio di immagini, architetture ed oggetti, per il quale l’aspetto degli stessi cambia a seconda del punto di vista dell’osservatore. In questo caso, è necessario che il punto di osservazione sia inclinato rispetto al piano così da permettere la visione corretta dell’immagine.
Originariamente l’anamorfosi era considerata una metodologia geometrica sconosciuta ai più e per questo veniva vista come una dottrina magica, materia incomprensibile praticata da stregoni e incantatori. Tuttavia, destava l’interesse della maggior parte di coloro che ne venivano a conoscenza. Per questo motivo, con il trascorrere degli anni, vennero intrapresi numerosi studi volti ad approfondire questa particolare tecnica di inversione delle regole prospettiche. Si iniziò ad approfondire il mondo della rappresentazione e a comprendere la contraddittorietà tra lo spazio reale e la sua restituzione visiva. Si sviluppò progressivamente la consapevolezza che la riproduzione della realtà fosse fortemente condizionata dalla mente e dalla razionalità di colui che la elaborava. I primi cenni storici scritti sull’anamorfosi si riscontrano nel Codice Atlantico di Leonardo, in cui, attraverso il ritratto distorto di un bambino, viene esplicata la capacità di tale tecnica “alternativa” di destare stupore nell’osservatore grazie ai suoi effetti bizzarri.
Tuttavia l’epoca “d’oro” di questo fenomeno si ebbe con il XVI e il XVII Secolo, quando vennero sviluppati i primi studi scientifici sul tema. Infatti, nel periodo che comprende il Rinascimento ed il Barocco, si registra l’interesse crescente per la prospettiva inversa e per l’anamorfismo. In arte, il primo esempio di anamorfosi si può individuare nel quadro “Gli Ambasciatori” risalente al 1533, opera del pittore tedesco Hans Holbein. Nella parte sottostante è possibile osservare uno strano oggetto allungato simile ad un osso di seppia. La comprensione del dipinto in cui in realtà è rappresentato un teschio, si può ottenere solo qualora ci si ponga in basso a destra rispetto allo stesso. È a partire da questo momento che si fa strada il concetto di scoperta improvvisa, di stupore che conduce all’autentica essenza delle cose rappresentate ed osservate. Si tratta di un processo che guida alla comprensione dello spazio come base sulla quale costruire e riprodurre il reale. La deformazione viene così studiata come potenziale scoperta della forma nascosta e mezzo attraverso il quale distinguere lo spazio sensibile da quello reale.
Trucchi di illusione ottica
Sin dall’antichità si manifestò la volontà di rappresentare la realtà in maniera più puntuale possibile. Ne sono un esempio gli affreschi sulle mura dei primi insediamenti preistorici, le riproduzioni stilizzate all’interno delle tombe e dei templi dell’antico Egitto e a seguire le opere pittoriche dei popoli del mediterraneo che furono i primi a sperimentare la tecnica dello “sfondato illusionistico”. È con il trascorrere dei secoli che lo sviluppo dell’architettura e dei suoi elementi fondanti, comportò una maggiore consapevolezza del cambiamento e il desiderio di riprodurre i particolari costruttivi di manufatti sempre più complessi.
L’idea che si diffonde è quella di ricreare l’elemento in modo fedele a quello reale al punto tale che l’osservatore venga ingannato sull’effettiva concretezza dello stesso. Una delle tecniche più riuscite in tale intento è rappresentata dal trompe l’oeil. Si tratta di un genere pittorico diffusosi a partire dal XVII Secolo e, come si può dedurre dalla denominazione “inganna l’occhio”, è finalizzato a creare effetti di illusione ottica. Negli ambienti interni di dimore e palazzi infatti, venivano riprodotte scene dentro finte finestre e cornici, dipinte con grande maestria e dall’aspetto realistico. Il duplice scopo era quello di rendere più ampi gli spazi grazie all’uso della prospettiva e donare tridimensionalità a ciò che in realtà non lo era, attraverso il gioco dei chiaroscuri. È così che vengono superati i limiti materiali degli elementi architettonici e creati spazi illusori in grado di confondere la dimensione reale con quella semplicemente rappresentata sul piano dell’osservatore.
Ma il XVI e XVII Secolo vennero caratterizzati da altre sperimentazioni in campo prospettico che originarono le tecniche alternative della prospettiva accelerata, rallentata e dell’anamorfosi. Tali metodi si differenziano tra loro poiché mentre i primi due alterano l’ordine naturale senza negarlo, il terzo lo annienta in favore di regole a sé stanti. Si tratta di un approccio completamente nuovo secondo il quale l’uniformità è ottenuta dalla deformità e la stabilità dallo squilibrio. È in questo periodo che, tramite tali stratagemmi, è possibile ingannare l’occhio dell’osservatore che trovandosi in un medesimo ambiente, può averne una restituzione differente ed opposta.
Spazi resi più profondi grazie all’impiego di pareti laterali molto convergenti ed una linea d’orizzonte innalzata o al contrario stanze che appaiono meno profonde, a causa dell’uso di pareti laterali divergenti. Si tratta rispettivamente dell’applicazione della prospettiva accelerata e rallentata. La terza tecnica di cui andremo a parlare è rappresentata dall’anamorfosi che si differenzia totalmente dall’arte prospettica. Secondo quest’ultima, l’osservatore doveva collocarsi su un piano parallelo rispetto alla rappresentazione, cosicché la visuale sarebbe risultata perfettamente perpendicolare all’oggetto in esame.
Inoltre, la posizione non doveva essere troppo ravvicinata al punto di fuga. Contrariamente a quanto detto, l’anamorfosi prevede che l’osservatore si ponga in posizione laterale rispetto all’oggetto in esame e molto vicino rispetto al punto di fuga, in modo che il raggio visivo assuma conformazione obliqua. Secondo tale procedimento, l’oggetto appare distorto se osservato in posizione frontale ma corretto e riconoscibile se osservato in posizione obliqua rispetto al piano. È quindi immediato comprendere come questo periodo sia stato caratterizzato da una vera e propria rivoluzione delle leggi prospettiche in favore di nuove e bizzarre metodologie rappresentative.
Tipologie di anamorfosi
Come accennato, l’affascinante metodo anamorfico permette di scoprire con sorpresa oggetti in un primo momento non decodificati, osservando l’immagine distorta. Questa particolare tecnica di costruzione geometrica può essere realizzata attraverso il criterio della proiezione che prevede specifici punti di fuga e di osservazione o tramite la riflessione dell’immagine distorta lungo un settore circolare. In quest’ultimo caso, il mezzo di cui ci si può servire è rappresentato dal cilindro (anamorfosi cilindrica) e dal cono (anamorfosi conica).
Nell’anamorfosi cilindrica, l’immagine informe assume un senso qualora venga “specchiata” sulla parete del cilindro riflettente. Tuttavia, si tratta di un semplice effetto ottico basato sulle leggi della riflessione, in grado di ingannare l’osservatore che percepisce l’immagine corretta secondo la propria percezione visiva. Questo tipo di anamorfosi prevede un solo punto di vista e a seconda dell’altezza, della posizione dell’osservatore e delle proprietà del cilindro, si ottiene una restituzione dell’immagine più o meno alterata. Invece, per quanto riguarda l’anamorfosi conica, come si può intuire, essa ha un funzionamento analogo a quella cilindrica ma la differenza sta nel corpo riflettente qui costituito dal cono. In tal caso, l’immagine deformata assume la sua forma corretta qualora l’osservatore si ponga ad una precisa distanza in corrispondenza della verticale del cono.
Anamorfosi e architettura
Spesso si è sentito parlare di anamorfosi impiegata esclusivamente nella bidimensionalità tipica di quadri ed affreschi. Tuttavia, risulta interessante approfondire il tema applicato alla tridimensionalità ed all’architettura. Tale metodo infatti, permette di variare la percezione sensibile degli ambienti, restituendo all’osservatore spazi con dimensioni differenti rispetto a quelle reali. Alcuni esempi architettonici che si sono sviluppati nel corso della storia, aiutano a comprendere meglio questo fenomeno così misterioso e al contempo interessante.
ESEMPI DI PROSPETTIVA ACCELERATA
Santa Maria presso San Satiro – Milano
Risale al 1482 il primo esempio architettonico che si serve della prospettiva accelerata per restituire l’illusione di uno spazio più profondo rispetto a quello reale.
Si tratta della Chiesa di Santa Maria presso San Satiro a Milano, dove, con grande maestria, Donato Bramante interviene allo scopo di ovviare a problemi di carattere spaziale. Infatti, la chiesa con pianta a croce commissa, risultava priva di coro a causa della conformazione stradale che ne impediva la costruzione tra navata e transetto. Servendosi di un raffinato gioco prospettico, Bramante ricrea un coro molto convergente e profondo 90 cm che offre l’impressione di trovarsi in un ambiente più profondo di come sia nella realtà.
La riproduzione della ricca volta a botte dotata di cassettoni e delle colonne stuccate, restituisce l’immagine maestosa di una vera e propria abside. Nel momento in cui si fa ingresso nella Chiesa, il visitatore non si accorge dell’ingannevole gioco prospettico di cui l’artista si è servito e grazie al quale ha raggiunto l’obiettivo di rendere la scena molto realistica.
Teatro Olimpico – Vicenza
Nel corso del ‘500 la scena teatrale è interessata da questo tipo di soluzione illusoria ottenuta mediante lo scorcio delle pareti laterali ed anche attraverso l’innalzamento del piano dell’orizzonte. Progressivamente, si sviluppa la concezione che realtà e finzione si fondano in un perfetto connubio.
Ed è proprio in questo clima, che tra il 1580 e il 1585, prima Palladio e poi il suo allievo Vicenzo Scamozzi, danno vita al capolavoro del Teatro Olimpico di Vicenza.
Rifacendosi agli antichi teatri romani, Palladio crea una cavea gradinata dotata di colonnato trabeato e fronteggiata da una scena rettangolare fissa che definisce lo spazio destinato agli attori.
La cosidetta scenae frons è caratterizzata da un doppio ordine architettonico, statue e tre aperture da cui si dipartono cinque strade connotate da una forte prospettiva accelerata che le rende più profonde di come siano realmente.
Tutti gli elementi architettonici ed i dettagli risultano scorciati e lo spazio illusorio e quello reale sono in diretta connessione.
Teatro all’antica – Sabbioneta (Mn)
Realizzato nel 1588 – 1590 da Vincenzo Scamozzi, su commissione di Vespasiano Gonzaga duca di Sabbioneta, il teatro all’antica è il primo esempio nel genere, realizzato ex novo. Grazie alla formazione palladiana, sono molti i rimandi al Teatro Olimpico di Vicenza, primo tra tutti il colonnato ellittico sovrastato da statue che circonda la cavea mistilinea.
Tuttavia, è assente in questo caso, la scenae frons in favore della continuità tra sala e palcoscenico.
Le pareti laterali sono raffrescate con paesaggi e finte architetture ed assieme alla quinta scenografica ed al fondale, seguono i principi della prospettiva accelerata che restituisce l’illusione di spazi di maggiori dimensioni e profondità.
L’odierna composizione del palco non è quella originaria che è andata distrutta, ma una ricostruzione datata 1996 che rappresenta uno scorcio ideale della città di Sabbioneta.
Inoltre, recentemente, il teatro è stato oggetto di un restauro conservativo non invasivo per la struttura originaria ed è stato dichiarato Patrimonio dell’UNESCO.
Galleria di Palazzo Spada – Roma
Il XVI e XVII Secolo sono caratterizzati da uno scambio continuo tra teatro e vita reale e per questo motivo spesso le soluzioni adottate per gli edifici privati vengono riprese direttamente dalla scena teatrale. A tal proposito, ispirato ad una delle strade che si dipartono dalla scena del sopra citato Teatro Olimpico di Vicenza, nel 1638 ca. Francesco Borromini realizza la Galleria di Palazzo Spada a Roma. Si tratta di un esempio di prospettiva accelerata dove lo spazio appare quintuplicato in lunghezza nonostante i soli 8 metri reali di profondità. Viene accentuata la convergenza delle pareti laterali e del pavimento (che si solleva) con il soffitto ribassato.
L’arco frontale che misura 6×3 mt, viene progressivamente ridotto a 2x1mt e svela al fondo una statua sorprendentemente piccola rispetto all’impressione che se ne ha da lontano. La dimensione della statua e dei soggetti che percorrono la galleria, naturalmente è la medesima ma la percezione che si ha è quella di figure che mutano a seconda della distanza che assumono rispetto all’osservatore. Questo perché la galleria è stata costruita al fine di enfatizzare la sua profondità e per questo pareti, pavimento e soffitto non sono affatto regolari.
Nello schema la stanza di Ames, una camera dalla forma distorta in modo tale da creare un’illusione ottica di alterazione della prospettiva.
La stanza è costruita in modo che, vista frontalmente, appaia come una normale stanza a forma di parallelepipedo, con due pareti laterali verticali parallele, una parete di fondo, e un soffitto e un pavimento paralleli all’orizzonte. In realtà la pianta della stanza ha forma di trapezio, le pareti sono divergenti, e il pavimento e il soffitto sono inclinati. Le inclinazioni e le proporzioni nella dimensione degli elementi posti alle diverse profondità sono calcolate tenendo conto delle regole della prospettiva.
Per effetto dell’illusione una persona in piedi in un angolo della stanza appare un gigante, mentre un’altra persona situata nell’angolo opposto sembra minuscola. L’effetto è così realistico che una persona che cammini da un angolo all’altro sembra ingrandirsi o rimpicciolirsi. (Fonte Wikipedia)
Scala Regia – Città del Vaticano
Risale al 1633-1666 l’intervento di restauro della Scala Regia del Palazzo Apostolico sito in Vaticano, opera di Gian Lorenzo Bernini. Si tratta di un celebre esempio di prospettiva accelerata dove, come nella maggior parte dei casi, si ha la necessità di dare l’illusione di uno spazio di dimensioni più generose rispetto a quelle che si hanno a disposizione nella realtà. La soluzione adottata dal Bernini prevede alcuni accorgimenti che mutano la percezione di questo spazio angusto e scosceso, sito tra la Chiesa ed il Palazzo Apostolico. I muri che delimitano la scala sono irregolari e convergenti e sono caratterizzati da un colonnato voltato a botte che si restringe man mano che si salgono i gradini. Tali colonne sono prive di basamento e vengono appoggiate direttamente al pavimento al fine di rendere più snello e profondo l’ambiente. L’altezza degli elementi che costituiscono la Scala Regia decresce lievemente ma si tratta di uno stratagemma impercettibile se la si osserva dalla base. Il risultato finale è maestoso e perfetto per la funzione sacra della Scala come ingresso in Vaticano.
Convento del Sacro Cuore – Roma
Situato di fianco alla Chiesa della Trinità dei Monti, il Convento del Sacro Cuore venne ultimato nel 1570 e l’annesso refettorio venne affrescato nel 1694 da Andrea Pozzo che si servì della tecnica della prospettiva accelerata. Il tema rappresentato è quello delle Nozze di Cana: sulle pareti perimetrali vengono riprodotte finte architetture che si mescolano e si confondono perfettamente a quelle reali. L’ambiente viene trasformato in un palazzo dalle numerose colonne e dai ricchi giochi prospettici. Risulta impossibile distinguere tra capitelli reali ed affrescati, tutto appare in un continuum armonico e realistico. La profondità della composizione viene accentuata dai chiaro scuri e dal dinamismo delle figure riprodotte che sembrano sporgersi realmente dalle arcate della terrazza ove si svolge la celebrazione delle nozze. È inoltre chiaro, come il Pozzo si serva della tecnica anamorfica in quanto è solo ponendosi ad un’altezza pari a 1,60 mt che sarà possibile ottenere una visuale corretta della composizione, cogliendone tutti i giochi prospettici presenti. Ma non troviamo questo tipo di stratagemma solo all’interno del refettorio, infatti, nelle gallerie superiori vi sono due dipinti (di cui uno conservato solo parzialmente) realizzati secondo l’anamorfosi obliqua. Entrambi a seconda della posizione dalla quale li si osserva, sveleranno temi diversi destando grande sorpresa nell’osservatore. Si tratta del San Francesco da Paola in preghiera di Emmanuel Maignan (1642) e il San Giovanni Evangelista che scrive l’Apocalisse sull’isola di Patmos di Jean François Nicéron (1642) che di cui sono visibili solo alcuni frammenti.
ESEMPI DI PROSPETTIVA RALLENTATA
Piazza Pio II – Pienza (SI)
Nel 1459 Bernardo Rossellino si servì dei suggestivi giochi prospettici nel suo intervento in Piazza Pio II a Pienza. Si tratta dell’unica piazza cittadina dove si concentrano i monumenti rappresentativi di questa piccola città, trasformata in tale a partire dall’antico borgo di Corsignano, per volere di Papa Pio II. La piazza ha una forma trapezoidale e le sue dimensioni appaiono diversificate a seconda della posizione da cui la si osserva. Grazie alla prospettiva rallentata infatti, è possibile godere di una duplice immagine del piazzale: se osservato ponendosi sotto il porticato esso appare ampio e poco esteso in lunghezza, se ci si trova all’ingresso della Chiesa invece, sembra molto più profondo di quanto sia nella realtà. La costruzione geometrica della piazza ha previsto un’organizzazione in griglie: orizzontale per la pavimentazione e verticale per i lati occupati da Palazzo Piccolomini, dalla Cattedrale dell’Assunta, dal Palazzo Comunale e dal Palazzo Vescovile. Si tratta di un intervento meticoloso, studiato al fine di far sembrare gli spazi più ampi e dilatare le strade che circondano la piazza e la collegano al resto della città.
Piazza del Campidoglio – Roma
Piazza del Campidoglio a Roma costituisce un altro celebre esempio di anti prospettiva. A partire dal 1538, Michelangelo avviò il suo intervento di risistemazione dando origine ad una piazza di forma trapezoidale, concepita allo scopo di far apparire Palazzo Senatorio, sullo sfondo, più ampio e ravvicinato. La preesistenza architettonica venne conservata con il suo andamento obliquo che venne proseguito dalle nuove facciate. Il fine ultimo era quello di prolungare il raggio prospettico verso Palazzo Senatorio che costituisce il fuoco ottico. Gli accorgimenti adottati per la buona riuscita della prospettiva rallentata, sono costituiti dalla divergenza dei volumi dei palazzi laterali e dall’ordine gigante del Palazzo dei Conservatori, oltre che dagli ornamenti architettonici dilatati e dalla ricchezza degli elementi scultorei. Oggi la piazza rappresenta uno dei nuclei pulsanti di Roma, sede del governo cittadino e celebre esempio di impianto rinascimentale, dove padroneggia il Palazzo Senatorio al quale si accede attraverso il monumentale doppio scalone, anch’esso opera di Michelangelo.
Piazza San Pietro – Città del Vaticano
Piazza San Pietro è caratterizzata da una particolare conformazione spaziale: si tratta della fusione di due piazze, una di forma ellittica l’altra trapezoidale.
La sezione a forma di trapezio viene realizzata tra il 1655 e il 1657 da Gian Lorenzo Bernini che si serve della tecnica dell’anti prospettiva. Il fine ultimo è quello di far sembrare lo spazio più esiguo cosicché l’osservatore sia invogliato a restare nella parte antistante a forma di ellisse da cui è possibile ammirare la cupola del Michelangelo. Le due sezioni sono connesse attraverso quattro file di colonne architravate e sormontate dalle statue dei santi. La piazza è stata concepita con un andamento curvilineo. Con l’intento di mantenere l’armonia d’insieme osservando il complesso, Bernini adotta lo stratagemma di aumentare progressivamente il diametro delle colonne con una conseguente diminuzione della distanza tra le stesse. In questo modo vengono mantenute costanti le proporzioni tra i pieni ed i vuoti anche nelle file di colonne più esterne. Ne risulta un perfetto allineamento delle quattro serie di pilastri, cosicché dal centro della piazza sia visibile solo la fila più interna. Per quanto riguarda la porzione trapezoidale, questo spazio viene studiato al fine di restituire una facciata della chiesa più stretta e alta rispetto alla realtà. Infatti, le pareti laterali di tale porzione della piazza, sono costituite da pilastri che si abbassano man mano che si arriva alla basilica.
Piazza San Pietro costituisce un esempio illustre di piazza monumentale che nasconde un forte significato simbolico: un luogo pronto ad accogliere i fedeli nella piazza ellittica e a condurli alla basilica attraverso le “braccia” colonnate della sezione trapezoidale. Inoltre, le statue dei santi rappresentano il tramite tra la sfera celeste divina e il mondo terreno, simboleggiato dalla massa volumetrica dei pilastri su cui sono disposte. Ciò che risulta evidente è come ancora una volta l’architettura si sveli meccanismo tra realtà concreta ed astratta, attraverso lo studio prospettico e compositivo.
Tra i sampietrini della piazza si trova incastonata una particolare mattonella, ponendosi in quel preciso punto le quattro file di colonne sembrano convergere in una sola.
Se le architetture citate, sono esempio dell’applicazione di una tecnica prospettica ben precisa, è possibile trovare alcuni casi in cui i giochi prospettici utilizzati sono molteplici.
Chiesa di Sant’Ignazio di Loyola – Roma
Nell’intima cornice di piazza Sant’Ignazio a Roma, sorge la Chiesa omonima realizzata nella prima metà del XVII Secolo. I lavori per la costruzione, commissionati a svariati architetti dell’epoca, iniziarono nel 1626 e si protrassero per diversi anni. Nel 1685, ad opera quasi ultimata, mancava il completamento della cupola ed esso venne affidato a Padre Andrea Del Pozzo. A fronte di un budget economico esiguo, egli trovò una soluzione in grado di ricreare una vera e propria cupola circolare, senza implicare onerosi costi per la realizzazione. Del Pozzo, maestro dell’arte prospettica in tutte le sue sfumature, propose uno stratagemma senza eguali. Facendo ingresso nella chiesa, si nota come la scelta dei materiali e dei decori del pavimento conducano l’avventore in un punto preciso: il centro della navata. Secondo la tecnica della prospettiva “sotto in su”, qualora si sollevi lo sguardo da questa posizione, è possibile ammirare l’affresco “Gloria di Sant’Ignazio” realizzato con la tecnica dello sfondamento prospettico.
Tale soluzione è in grado di raddoppiare lo spazio realmente occupato dal dipinto, restituendo l’immagine di due architetture sovrapposte ed articolate secondo due ordini. Procedendo verso l’altare, sul pavimento si nota un cerchio dorato in corrispondenza del quale si trova un secondo punto di vista “strategico” dal quale è possibile osservare una cupola dal diametro di 13 metri. Tuttavia, si tratta di un’illusione ottica, infatti solo da quella precisa posizione è possibile osservare l’immagine di una vera e propria cupola. Camminando verso destra o sinistra rispetto al cerchio segnato a terra si scopre la reale conformazione del soffitto: una superficie piatta che ospita al suo interno un ingannevole dipinto prospettico. Grazie alla sua raffinata maestria, Padre Dal Pozzo risolse il problema dell’assenza di una vera cupola e dotò la chiesa di un gioiello dell’arte prospettica.
Anamorfosi: dal declino ai giorni nostri
La tecnica dell’anamorfosi trova piena affermazione nel corso del 1500 e 1600 grazie al particolare effetto di magia e mistero in grado di ricreare in coloro che osservano le opere interessate dalla stessa. Lo spettatore infatti, prova stupore e sorpresa nel momento in cui elabora un’immagine nuova e diversa da quella vista poco prima. Tuttavia, si tratta di uno stratagemma che nasconde in sé innumerevoli studi e pratiche realizzative molto complesse. Per questo motivo, negli anni che aprono il secolo successivo, si registra un progressivo declino dell’anamorfosi e il successivo abbandono dovuto anche al poco interesse per la spettacolarizzazione dell’arte e dell’architettura, in questo periodo più legate all’eleganza formale. È solo con il trascorrere di svariati decenni che quest’antica tecnica viene riscoperta destando l’interesse di molti studiosi ed artisti. Oggi l’anamorfosi ed i giochi prospettici sono sfruttati nel campo del marketing e della comunicazione, in quello artistico della street art e nello studio della psicologia percettiva secondo la quale la realtà colta viene prima filtrata dal cervello. Inoltre, con la diffusione della digitalizzazione grafica e di specifici software, è possibile “snellire” il processo di realizzazione delle anamorfosi a partire da semplici immagini che vengono trasformate in breve tempo.
L’attuale scopo dei giochi prospettici utilizzati in arte ed architettura è il medesimo di quello originario: creare illusioni ottiche spaziali in grado di sorprendere l’osservatore. Per ottenere ciò è necessario colpire e restituire sensazioni forti, rendere possibile ciò che sembrerebbe impossibile, anche solo per pochi minuti. Numerosi sono gli esponenti della street art moderna (Alex Chinneck, Kurt Wenner, Julian Beever) che riproducono con raffinata maestria architetture dipinte su grande scala. Si tratta di opere bidimensionali ma in grado di dare l’effetto realistico della tridimensionalità e della profondità. Attraverso la prospettiva fisica, materiale e scultorea ciò che non è, diventa e il pubblico viene trasposto per qualche attimo in una dimensione illusoria. Ne è un esempio celebre, la Dalston House di Leandro Erlich ad Hackney, un’opera singolare che ha riscosso un grande consenso tra coloro che l’hanno visionata. È stata qui ricreata la facciata di una casa vittoriana sul pavimento ed è stata inserita una superficie riflettente sovrastante. Il risultato è molto suggestivo: il visitatore che si trova vicino alla casa riprodotta sul piano di calpestio, sembra interagire attivamente con la sua facciata.
Per quanto riguarda l’architettura contemporanea e come in essa trovino impiego i giochi prospettici, è importante chiarire alcuni principi che ne stanno alla base. Si diffonde progressivamente il concetto di creatività che supera il rigido rapporto forma-funzione in favore di soluzioni simboliche ed illusorie, finalizzate a far scaturire nell’osservatore stupore e sorpresa. È così che la sfera visiva ed emotiva trova la sua maggiore affermazione e l’opera architettonica si svela strumento attraverso il quale viene messo in discussione il senso comune. Quelli che sono considerati da sempre i pilastri intoccabili della disciplina architettonica vengono rivisti, vengono rivisitate le regole e le pratiche consuete per dare spazio a soluzioni originali grazie alle quali si provano sensazioni inaspettate.
Negli anni 80 del XX Secolo, vengono approfonditi gli studi sullo spazio, prima considerato omogeneo e regolare ed ora frammentato. Si tende ad abbandonare il senso classico dell’armonia e della grazia, in favore di principi quali l’eccesso, l’ambiguo, lo smisurato. Si tratta di un’estetica del fantastico volta a stimolare sensazioni sorprendenti molto simili a quelle prodotte dalle passate realizzazioni anamorfiche. Si assiste al progressivo fiorire degli studi sulla morfogenesi e su nuove e complesse prospettive. L’opera architettonica talvolta, causa nuovi sentimenti come il caos e lo smarrimento nell’osservatore. Anche grazie alle tecniche innovative, viene facilitata la realizzazione di manufatti architettonici che scardinano le regole geometriche consolidate e deformano i piani. La differenza dal passato sta nelle tempistiche: mentre l’applicazione della tecnica anamorfica un tempo richiedeva studi e complicati processi realizzativi, ora attraverso pochi passaggi è possibile trasformare gli elementi del progetto architettonico secondo svariate visioni prospettiche.
Per citare solo alcuni degli architetti che sono ricorsi a questo tipo di principi “sovversivi”, si annoverano Zaha Hadid, Peter Eisenman e Daniel Libeskind, che hanno operato attraverso processi geometrici complessi molto simili a quelli diffusisi nel corso del XVI e XVII Secolo. Tramite la distorsione e la deformazione viene di nuovo messa in discussione la regolarità delle forme e così lo spazio viene interpretato secondo una nuova chiave di lettura.
Le nuove architetture generano la sensazione di trovarsi di fronte a qualcosa di insolito e sconosciuto ma che allo stesso tempo, rende possibile l’insperato. Ne è un esempio il Vitra Fire Station di Will am Rhein datato 1990-93, che definisce l’ascesa di Zaha Hadid e rappresenta una delle più celebri realizzazioni del movimento decostruttivista. Alla base del progetto si collocano i principi di geometria pura e di completa assenza dell’ornamento. Ciò che rende l’opera innovativa, consiste nella deformazione dei piani che vengono sovrapposti e collocati nello spazio, rovesciando il regolare ordine compositivo. Prevale l’uso di superfici inclinate ed incastrate, concepite ciascuna secondo autonome linee di fuga. L’unico materiale utilizzato è il cemento armato che restituisce alla composizione un aspetto austero e puro, esaltandone la particolare collocazione degli elementi ed il rapporto che intercorre tra essi.
La pensilina svetta acuta nel cielo, mentre le tre solette centrali sembrano cadere da un momento all’altro per il loro andamento obliquo. Si tratta di forme geometriche basilari che affermano la loro unicità e complessità nella disposizione spaziale e possono essere osservate da svariati punti di vista. Quello che è certo è che l’architetto contribuisce qui a dare una precisa identità al luogo, attraverso l’esperienza percettiva che si prova quando lo si visita.
Per quanto riguarda l’applicazione dei principi geometrici e dei giochi prospettici, considerati su scala urbana, un esempio che va ricordato è il Robstockpark di Peter Eisenman. Situato a Francoforte e realizzato nel 1992, viene concepito attraverso un’attenta rivisitazione geometrica, plasmata sulla conformazione del luogo e sulle necessità del momento.
Il progetto infatti, viene realizzato servendosi del modello della griglia prospettica, qui modificata e distorta al fine di ottenere un risultato innovativo. Tale soluzione può essere paragonata ad un vero e proprio stratagemma anamorfico, poiché solo se osservate da un particolare punto di vista, le linee sbieche della distribuzione volumetrica appariranno perpendicolari. In questo modo l’osservatore viene stimolato ad analizzare il rapporto che intercorre tra le singole parti che compongono il progetto, piuttosto che l’assetto nella sua totalità. L’elemento che definisce la personalità fisica del Rebstockpark è la piega. Grazie a questa scelta, l’assetto urbano viene modificato e permette una riformulazione dell’organizzazione spaziale, destando particolare interesse per il suo aspetto non convenzionale.
Nonostante la scelta audace di non seguire i principi classici della progettazione urbanistica, l’assetto rivela coesione e fluidità compositiva grazie alla concezione di “tessuto urbano totale e modificato”. Gli elementi naturale, costruito e residuale si aprono e si distribuiscono secondo ordine e continuità. È così che anche in questo esempio di attento studio urbanistico, le regole classiche vengono scardinate per lasciare posto ad un’alternativa apparentemente distorta ma in realtà funzionale ed innovativa.
Un terzo esempio di architettura in cui vengono adottati stratagemmi di illusione percettiva, è rappresentato dal Museo Ebraico di Daniel Libeskind ultimato nel 1989 e situato a Berlino. (vedi il progetto in dwg qui)
Gli elaborati grafici rivelano come il concept progettuale si manifesti in una stratificazione di piani in cui, poiché il punto di vista non risulta essere unico e definito, si crea un’iniziale incomprensione. Qui il rapporto tra edificio e significato nascosto è fortissimo: la composizione architettonica si plasma sulle ragioni storiche e celebrative che ne stanno alla base.
Planimetria e vista interna del museo
Foto dx: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Jewish_Museum_Berlin_02.JPG
Il Museo Ebraico, riproduce la forma della stella di David ed è costituito da geometrie scomposte, spazi interrotti e materiali freddi ed industriali. Le due aree funzionali vengono distinte attraverso forma e scelte compositive: lo spazio espositivo è caratterizzato da un andamento sinuoso, attraversato da una linea longitudinale che lo taglia ricreando spazi concavi ed inaccessibili, simbolo del vuoto lasciato dall’Olocausto. In posizione adiacente si trovano una torre cava ed un giardino dove alcuni volumi prismatici che racchiudono al loro interno degli alberi, rappresentano il concetto di libertà negata. Tali significati e messaggi racchiusi in quest’opera, vengono svelati nelle annotazioni che accompagnano i disegni e gli scritti trasmessi da Libeskind, ma non solo. Infatti, nel momento in cui si attraversano tali spazi, i percorsi continui trasmettono la sensazione di un incedere lento ma privo di vie di fuga e il passaggio repentino dal buio alla luce e dal freddo al caldo ricorda l’incertezza dell’esistenza umana. Ancora una volta, l’architettura stupisce e come nel processo anamorfico, svela la realtà.
Differentemente dai processi anamorfici rinascimentali, che in maniera più tangibile, attraverso un’immagine distorta o una falsa architettura, rendevano labile il confine tra finzione e realtà, nell’architettura contemporanea vengono utilizzati metodi talvolta più “esperienziali” per svelare scopi e messaggi concreti.