Il Giardino Giapponese
Il moderno japanese landscape design
Da sempre, in Giappone, il giardino è definito come dialogo tra l’uomo e la natura e da sempre i niwashi, maestri giardinieri, hanno creato nuovi giardini nel rispetto della tradizione. È curioso comprendere come nel concetto giapponese di tradizione sia insita l’idea dell’innovazione: non c’è tradizione senza innovazione. L’articolo analizza come alcuni elementi compositivi della tradizione classica del giardino giapponese siano stati riletti, interpretati o semplicemente riproposti in alcune realizzazioni contemporanee presenti in Giappone. Non si tratta solamente di realizzazioni di paesaggisti giapponesi ma, al contrario, anche di opere di autori occidentali che, con successo, hanno intrapreso l’ardua via del giardino.
“Il paesaggio giapponese” non è solo natura, non semplicemente natura spontanea, come la traduzione letterale della parola giapponese natura – shizen – ci porterebbe a credere. Il giardino giapponese è stato sempre natura creata dall’uomo. Appartiene al regno dell’architettura ed è, a dir meglio, natura come forma d’arte” (Günter Nitschke, 1999).
Da sempre, in Giappone, il giardino è definito come dialogo tra l’uomo e la natura e da sempre i niwashi, maestri giardinieri, hanno creato nuovi giardini nel rispetto della tradizione. È curioso comprendere come nel concetto giapponese di tradizione sia insita l’idea dell’innovazione: non c’è tradizione senza innovazione. Al richiamo dei segni e delle geometrie tipiche del giardino classico si somma una continua e sempre nuova ricerca espressiva che, oramai da decenni, attinge anche dal repertorio occidentale.
Molti autori, come Arata Isozaki, Bruno Taut e Alessandro Villari sono concordi nell’affermare che il moderno landscape design giapponese abbia subito l’influenza e la moda occidentale ma, gli stessi autori, concordano sul fatto che, molto spesso, la stessa tradizione classica del giardino giapponese sia diventata, per il mondo occidentale, esempio da imitare e rileggere in chiave moderna. Ed è su questi temi che di seguito si approfondirà il concetto di innovazione-tradizione. Si analizzerà come alcuni elementi compositivi della tradizione classica del giardino giapponese siano stati riletti, interpretati o semplicemente riproposti in alcune realizzazioni contemporanee presenti in Giappone. Come vedremo, non si tratta solamente di realizzazioni di paesaggisti giapponesi ma, al contrario, anche di opere di autori occidentali che, con successo, hanno intrapreso l’ardua via del giardino.
Il giardino giapponese
La teoria classica del giardino giapponese è fondata, generalmente, su tre principi compositivi che definiscono l’organizzazione spaziale e volumetrica del paesaggio: il paesaggio in miniatura (shukkei), il paesaggio preso a prestito (shakkei) e il paesaggio secco di contemplazione (karesansui). Oltre a comprendere il significato e i risvolti pratici nella progettazione del paesaggio di questi principi compositivi, si accennerà anche alla tecnica del sumikake (connessione ad angolo) e alla modalità con la quale, nella tradizione giapponese risalente all’epoca Edo (1603-1868), si organizza l’inquadratura di una qualsivoglia immagine naturale, la cosiddetta visione di scorcio. Questi ultimi due aspetti compositivi permetteranno di comprendere alcune tra le scelte progettuali illustrate e saranno utili per definire il modo tutto giapponese di osservare il paesaggio, sia che si tratti di ambiente urbano sia che si tratti di scorci di natura.
Il periodo Edo (1603-1868) è stato un lungo e mirabile ciclo di crescita e consolidamento dei canoni estetici giapponesi.
È in questo periodo che hanno operato i grandi artisti dell’ukiyoe (il cosiddetto mondo fluttuante), come Hokusai (1760-1849) e Hiroshige (1797-1858), ed è in questi secoli che l’arte pittorica di organizzare il paesaggio o un qualsivoglia soggetto naturale, come un fiore o un pesce, ha raggiunto la chiarezza compositiva che oggi apprezziamo.
Cercando di definire in modo accademico e schematico le caratteristiche che definiscono la cosiddetta visione a scorcio del soggetto, potremmo asserire che il soggetto ritratto non è al centro dell’inquadratura, spesso è in secondo piano e, a volte, si osserva un elemento che si interpone tra noi e il soggetto stesso. Questo modo tutto giapponese di organizzare l’inquadratura determina nell’osservatore un aumento di partecipazione alla scena ritratta; questo perché prende il sopravvento la curiosità e la volontà di vedere la parte celata del soggetto; inoltre, il più delle volte, si ha l’impressione che ciò che si interpone tra noi e il soggetto abbia origine alle nostre spalle e, pertanto, ci accompagni fisicamente dentro l’immagine stessa.
Osservando il quadro di Hiroshige a lato è evidente come lo sforzo compositivo dell’artista sia rivolto alla piena partecipazione dell’osservatore alla scena ritratta.
Si ha l’impressione di osservare la scena accovacciati al di sotto di un carretto che, ovviamente, continua sopra e dietro di noi.
Questo accorgimento permette al nostro subconscio di ritenere di essere dentro all’immagine.
Le barche in lontananza, il soggetto ritratto, sono in secondo piano, non al centro dell’immagine e parzialmente celate dalla ruota del carretto.
Tutta la composizione aumenta la nostra partecipazione all’immagine attraverso due stati d’animo particolari: la curiosità di vedere ciò che è celato, e la suggestione di sentirsi parte dell’inquadratura.
Per chiarire ulteriormente questo modo tutto giapponese di inquadrare il paesaggio proviamo a osservare lo stesso soggetto ritratto sia con una inquadratura tipicamente occidentale, sia con una inquadratura definita dalla visione di scorcio del soggetto. Le foto 2 e foto 3 ritraggono il giardino Murina-an (Kyoto) progettato da Ogawa Jihei, noto paesaggista dell’epoca Meiji (1868-1912). Si tratta di un’opera che ha subìto l’influenza inglese non solo nell’organizzazione dei volumi collinari, molto simili ai sapienti pieni e vuoti del giardino paesaggistico inglese, ma anche nell’architettura dell’abitazione, che è in chiaro stile anglosassone.
Al di là della composizione e della storia che contraddistinguono questo giardino, osserviamo come la prima fotografia (foto 2) sia di chiara impostazione occidentale: il ruscello ritratto è al centro, tutti gli altri elementi compositivi fungono quasi da cornice al soggetto e nulla prevale su ciò che si è deciso di ritrarre. Analizzando graficamente la figura, possiamo asserire che, in questo caso, l’immagine sia definibile e schematizzabile attraverso uno studio prospettico con punto di fuga centrale: le linee di fuga convergono verso il centro, che ospita sempre il soggetto ritratto.
È opinione di chi scrive che questa impostazione grafica possa definirsi simmetrica e paritetica.
Riprendendo ciò che abbiamo asserito in precedenza in merito all’opera pittorica di Hokusai, il soggetto non è al centro ma, al contrario, è spostato sulla destra ed è in secondo piano; inoltre, un ramo di acero, che con ogni ovvietà ha origine da una pianta che si trova alle nostre spalle, ci accompagna dentro l’immagine e maschera in parte ciò che è ritratto oltre le foglie. Aumenta in noi la curiosità di proseguire il viaggio nell’immagine per poter ammirare il fiume e le colline. Rispetto alla precedente fotografia, questa immagine può essere definita asimmetrica e dinamica.
Se nei cosiddetti giardini statici di contemplazione, dove esiste un evidente punto preferenziale da cui osservare il giardino, si può immaginare una facile organizzazione spaziale a visione di scorcio del soggetto, nei numerosi giardini classici da passeggio rimane il dubbio di come questo carattere compositivo possa essere realizzato. A tal proposito ricordiamo il giardino della Villa Imperiale Katsura (XVII sec.) di Kyoto, considerato, a ragione, uno dei massimi esempi di enshugonomi (letteralmente alla maniera di Enshu Kobori, noto artefice di giardini del primo periodo Edo) nonché uno tra i più importanti roji (giardino del the) giapponesi.
Come insegna Arata Isozaki e come, prima di lui, Bruno Taut aveva esposto nei suoi diari di viaggio, l’organizzazione dello spazio intorno alla villa si fonda sul principio del passeggiare per raggiungere la meta, che, nel caso del presente giardino, consiste nelle varie case da cerimonia del the. Si percorrono i sentieri e le vie del giardino quasi fosse un pellegrinare tra una casa da the e l’altra, tra una architettura e l’altra.
È questo uno dei giardini in cui la bellezza dell’opera è insita al camminamento e allo spostamento da una zona all’altra del paesaggio. Lungo i sentieri spesso la vista sul panorama è celata dalla vegetazione e non di rado i camminamenti sono così impervi da dover abbassare lo sguardo sui propri passi allontanando la nostra attenzione dalla scena che ci circonda. Tutto ciò è voluto e ricercato dal progettista. Infatti, il nostro sguardo ritorna sul paesaggio solamente in quei punti del giardino, che potremmo ancora definire punti di vista preferenziali, studiati e organizzati dal paesaggista attingendo dalla classica tecnica della visione di scorcio del soggetto.
Dopo aver percorso un lungo sentiero immersi in una boscaglia che ostacola la vista sul lago, dopo aver percorso sentieri, a volte “naturalmente” sconnessi, dopo aver intravisto e immaginato le architetture e il lago tra le foglie degli alberi, giungiamo dove il sentiero compie una leggera curva a sinistra e con stupore la scena che si apre ai nostri occhi è di chiara organizzazione di scorcio.
La casa del the che ammiriamo è celata in parte da un pino che, a sua volta, è in secondo piano rispetto ad una lanterna antica che attira la nostra attenzione. Inoltre, la casa da the non è in asse rispetto al nostro procedere ed è orientata verso un’altra direzione che punta, con ogni probabilità, verso un elemento del paesaggio che non riusciamo a scorgere perché mascherato da altri alberi e isole. La nostra curiosità di vedere cosa si può ammirare da una architettura di così alto fascino è tale da indurci a proseguire il viaggio per raggiungere questa casa da dove, con sorpresa, osserveremo un’altra scena organizzata con la visione di scorcio del soggetto, che alimenterà nuovamente in noi la curiosità di vedere ciò che è parzialmente celato.
Tutto ciò dilata lo spazio, aumenta la profondità e ci rende partecipi del paesaggio.
La connessione ad angolo e la visione di scorcio
Parallelamente alla tecnica di organizzazione dell’immagine sopra descritta, esiste la cosiddetta connessione ad angolo (sumikake), che consiste nel disporre i camminamenti e le direttrici degli edifici lungo una linea zigzagante. Questo procedere lungo direttrici perpendicolari le une alle altre, permette di creare sempre nuovi scorci poiché, a seguito del cambio di direzione, si aprono paesaggi prima celati e non immaginati. La foto 5 ritrae alcuni scorci del lungo zigzagare che caratterizza l’entrata al tempio Koto-in (XVI sec.), facente parte del complesso del Daitoku-ji di Kyoto. È evidente come in un così limitato spazio la tecnica del sumikake riesca a dilatare enormemente le superfici e come permetta di ottenere sempre nuovi panorami. Si noti ancora come l’apertura sul giardino che si può ammirare in fondo all’ultimo sentiero sia organizzata con la tecnica della visione di scorcio del soggetto poc’anzi descritta.
Del tutto simile è l’entrata al Tempio Honpuku-ji (tempio scintoista dedicato all’acqua) progettato da Tadao Ando nel 1991 sull’isola Awaji nella baia di Osaka. In questo caso, tuttavia, il noto architetto introduce sapientemente la linea curva, aspetto grafico poco presente nella tradizione classica del giardino giapponese.
Lo zigzagare della prima parte del camminamento convoglia in una dolce curva che svela progressivamente il panorama oltre il bianco muro circolare: il grande bacino d’acqua delle ninfee che, oltre a essere un inaspettato elemento sorpresa, è anche il tetto del tempio sottostante.
Vedi il progetto disponibile anche in formato dwg…>>
Questi due aspetti compositivi, la visione di scorcio del soggetto e il sumikake, sono elementi tipici e propri dell’estetica giapponese e ancora oggi sono riletti e interpretati nelle realizzazioni paesaggistiche moderne, che possiamo annoverare in ciascuna delle chiavi di lettura del paesaggio proposte da Villari: il paesaggio in miniatura o collezione di giardini (shukkei), il paesaggio preso a prestito (shakkei) e il paesaggio secco di contemplazione (karesansui).
Parafrasando Villari “…lo shukkei (da shuku ridurre e kei paesaggio) è la tecnica di rappresentazione in miniatura del paesaggio. Questa particolare espressione è propria dei giardini costruiti durante il XVII e XVIII secolo; Katsura…”, che abbiamo imparato a conoscere nella precedente dissertazione sulla visione di scorcio del soggetto, “…è un chiaro esempio di shukkei, un testo narrativo sul territorio giapponese, una sorta di metafora di alcuni tra i più celebri paesaggi, un luogo ideale dove compiere infiniti pellegrinaggi. Un giardino creato per essere attraversato, un kaiyu shiki teien, letteralmente giardino da passeggio…”.
Il tema è quello del viaggio dove il racconto, fatto di tanti capitoli, le differenti visuali e le numerose case da the, è percepito grazie all’unità temporale della visita. Così come a Katsura, anche in molti altri giardini storici giapponesi si osserva come “…la rappresentazione di paesaggi archetipici facilmente identificabili, patrimonio inconscio della memoria, facilita la lettura e l’interpretazione del paesaggio naturale…” (Villari, 2003). Ne sono un esempio il grande cono di sabbia del Ginkaku-ji che rappresenta il profilo del noto Fuji-yama, i laghi del Kinkaku-ji o della stessa Katsura, che ricordano mari costellati da isole, le rocce del Ryoan-ji o dei vari sottotempli del Daitoku-ji, che evocano immagini di montagne mitiche o reali e, ancora, animali della tradizione giapponese come la gru, la tartaruga e la carpa.
Cono di sabbia del Ginkaku-ji
Molti esempi del landscape design contemporaneo secondo Villari “…presentano dei testi narrativi, fatti di sequele, di gerarchie e di figure retoriche. …l’osservatore è invitato ad appropriarsi simbolicamente del repertorio di immagini, simboli e significati da inserire nell’elenco delle proprie esperienze”.
La carpa, tipico animale dei numerosi giardini con lago del Giappone tradizionale, è sicuramente il tema principale che lega l’opera di Martha Schwart al Nexus Fukuoka International Housing. Un grande gruppo di architetti di fama internazionale, coordinato da Arata Isozaki, si occupò intorno agli anni Ottanta-Novanta di riqualificare un grande quartiere della città di Fukuoka, nel sud del Giappone.
A Martha Schwart fu chiesto di studiare e realizzare un tessuto connettivo in grado di unire tutti i palazzi e le strutture architettoniche messe in atto nel corso dei lavori. L’idea vincente della Schwart fu quella di reinterpretare in chiave moderna lo shukkei, narrando il passaggio di alcune carpe attraverso i vari edifici. Il dinamismo fluido che ne deriva ben si sposa con il ricordo delle carpe nei giardini storici giapponesi che, al battere delle mani, accorrono numerose verso l’ospite. Visto dall’alto dei palazzi, il parco assume quella microscala tipica dello shukkei: da molte decine di metri di altezza quei grossi tumuli di roccia e prato ricordano in tutto e per tutto la carpa in movimento, i grandi bamboo e le palme evocano i giunchi del lago e, come in un karesansui moderno, la cromia della pavimentazione ricorda il grande mare di sabbia del Ginkaku-ji.
Umekoji Park di Kyoto
Altro esempio di shukkei moderno è l’Umekoji Park di Kyoto, realizzato intorno al 2000, come ricordo della storia di Kyoto capitale (foto principale). Un grande concorso internazionale di progettazione ha visto cimentarsi sul tema della reinterpretazione del giardino classico molti tra i più importanti paesaggisti del nostro tempo. Tra tutte le idee pervenute, quella vincente si rivelò essere proprio la riproposizione dello shukkei riletto attraverso nuove proporzioni e grazie all’utilizzo di materiali moderni e tecnologicamente avanzati.
L’Umekoji Park di Kyoto, così come Katsura, è una sequela di paesaggi, attinti dalla natura incontaminata del Giappone. L’acqua è quel fil rouge che lega l’intero racconto: tutto ha inizio dalla cascata, quindi si prosegue attraverso i torrenti, i fiumi dalle grandi anse e infine si raggiunge il calmo e placido mare ricco di anfratti e penisole che si protendono nel suo specchio. Solo la rigidità di forma di alcuni elementi moderni e l’utilizzo di materiali tecnologici come l’alluminio e la fibra ottica permettono di comprendere che si tratta di un’opera contemporanea.
Parafrasando ancora Villari, la tecnica dello “…shakkei, letteralmente l’impronta del paesaggio, consiste nello stabilire un legame visibile tra lo spazio del giardino e il paesaggio circostante. (…) Lo shakkei non si limita a un semplice rapporto visuale con l’orizzonte ma, di volta in volta, usa il paesaggio come un materiale, con gli stessi criteri con cui sono usate le pietre, la ghiaia, la vegetazione e l’acqua. Così monti, colline, boschi, laghi, paludi, cascate e perfino elementi di architettura esterni al giardino, trovano la giusta collocazione…”.
Nella storia classica del giardino giapponese sono numerose le opere che hanno attinto, grazie alla tecnica dello shakkei, immagini ed elementi naturali esterni alla proprietà. Tra questi ricordiamo i ben noti giardini Murin-an, Etsu-ji, Koetsu-ji e Kogen-ji, che hanno “incorniciato” i profili di alcuni monti di Kyoto facendoli divenire elementi compositivi propri del giardino.
Il giardino contemporaneo del Research Center for Japanese Garden Art della Kyoto University of Art and Design, progettato e realizzato una decina di anni fa secondo la più classica tradizione dello shakkei è un chiaro esempio di come si possa allargare lo spazio quasi all’infinito enfatizzando immagini ed elementi del paesaggio circostante (foto 9). In questo caso è di nuovo uno dei numerosi monti di Kyoto a divenire il protagonista del giardino. La foto 8 mette in risalto come la progettazione dell’opera abbia attinto non solo dalla tradizionale tecnica dello shakkei, ma anche dalla classica modalità di organizzazione dell’immagine a scorcio.
Altro esempio di shakkei contemporaneo è la Kyoto Station Plaza progettata da Hiroshi Hara nel 1994. All’inizio degli anni Novanta Hara vince il concorso per la nuova realizzazione della stazione di Kyoto al quale partecipano, tra gli altri, anche Tadao Ando, Kisho Kurokawa e James Stirling. Attingendo dalla descrizione che Villari ne fa, il progetto di Hara è una “…infernale macchina architettonica, due grandi stecche parallele ai binari racchiudono una grande hall, di enormi dimensioni, determinando un grande vuoto coperto da un lucernaio di duecento metri di lunghezza per circa settanta di altezza. (…) attraversando la hall si è trasportati, con complesse scale mobili, fino al tetto dell’edificio nel quale si presenta uno dei luoghi più interessanti dell’intera stazione…”.
Si tratta di una grande piazza pensile che funge da terrazzo panoramico sull’intera città di Kyoto. Come grandi cornici, le strutture del perimetro inquadrano scorci della città ben definiti e sapientemente individuati. Come lo stesso Villari ammette, sembra che il paesaggio della città di Kyoto sia proiettato come un film sulle pareti di confine della piazza, e che il progetto di Hara sia uno shakkei moderno nella città del giardino storico giapponese per eccellenza.
Sono questi alcuni esempi di realizzazioni moderne che hanno attinto dalla tradizione classica del giardino giapponese, estrapolando il vero significato compositivo e risvolto estetico di una cultura che da sempre ha visto nel dialogo tra natura e uomo il discorso sul giardino.
dott. Agr. Francesco Merlo
Master in Progettazione del Paesaggio e delle Aree Verdi – Università degli Studi di Torino