Il principio del Rivestimento
Parole nel vuoto - Adolf Loos
Adolf Loos
IL PRINCIPIO DEL RIVESTIMENTO
da: Adolf Loos, Parole nel vuoto, Adelphi, Milano 1972
(da pagina 79 a pagina 86)
Anche se per l’artista tutti i materiali sono ugualmente preziosi, non tutti sono ugualmente adatti ai suoi obiettivi. Le necessità statiche e costruttive di un edificio richiedono spesso l’uso di materiali che non si accordano con la sua finalità. L’architetto, mettiamo, ha il compito di creare uno spazio caldo, accogliente. Caldi e accoglienti sono i tappeti. Egli decide di conseguenza di stendere un tappeto sul pavimento e di appenderne quattro alle pareti. Ma non si può costruire una casa con i tappeti. I tappeti, che li si tengano stesi sul pavimento o appesi alle pareti, richiedono una struttura che li mantenga nella giusta posizione. Inventare questa struttura è il secondo compito dell’architetto.
Questa è la via giusta, logica, che si deve seguire in architettura. Ed è così, secondo questa successione che ’uomo ha imparato a costruire. In principio fu il rivestimento. L’uomo cercava rifugio dalle intemperie, protezione e calore durante il sonno. Cercava di coprirsi. Il tetto è il più antico elemento architettonico. Dapprima esso era costituito da pelli o da prodotti dell’arte tessile. Questo significato della parola è ancora oggi riconoscibile nelle lingue germaniche. Il tetto doveva essere sistemato in modo tale da fornire riparo sufficiente all’intera famiglia! Furono perciò aggiunte le pareti che offrivano nel contempo riparo sui lati. È in questo modo che si è sviluppato il pensiero architettonico tanto nell’umanità che nel singolo.
Vi sono architetti che seguono un processo differente. La loro fantasia non crea spazi, ma strutture murarie.
Quello che resta sono gli spazi interni. Per questi spazi l’architetto sceglie soltanto in un secondo tempo il rivestimento che ritiene più adatto.
L’artista invece, l’architetto, pensa dapprima all’effetto che intende raggiungere, poi con l’occhio della mente costruisce l’immagine dello spazio che creerà. Questo effetto è la sensazione che lo spazio produce sullo spettatore: che può essere la paura o lo spavento, come in un carcere; il timore di Dio, come in una chiesa; il rispetto reverenziale per l’autorità, come in un palazzo del governo; la pietà, come in un monumento funebre; il senso di calore, come nella propria casa; la spensieratezza, come in un’osteria. Questo effetto viene raggiunto attraverso il materiale e attraverso la forma.
Ogni materiale possiede un linguaggio formale che gli appartiene e nessun materiale può avocare a sé le forme che corrispondono a un altro materiale. Perché le forme si sono sviluppate a partire dalla possibilità di applicazione e dal processo costruttivo propri di ogni singolo materiale, si sono sviluppate con il materiale e attraverso il materiale. Nessun materiale consente una intromissione nel proprio repertorio di forme. Chi osa, ciononostante, una tale intromissione, viene bollato dal mondo come falsario. L’arte non ha nulla a che fare con la falsificazione, con la menzogna. Le sue vie sono piene di spine, ma pure.
È sempre possibile rifare in cemento la torre di Santo Stefano e sistemarla da qualche parte — non si tratterà mai però di un’opera d’arte. E quanto si è detto per la torre di Santo Stefano vale anche per il palazzo Pitti, e ciò che vale per il palazzo Pitti vale anche per il palazzo Farnese. E con quest’ultimo edificio ci troveremmo nel bel mezzo dell’architettura che vediamo sul nostro Ring. Tempi tristi per l’arte, tempi tristi per i pochi artisti fra gli architetti di allora che furono costretti a prostituire la loro arte per accontentare il gusto comune. Soltanto a pochi fu concesso di incontrare sempre dei committenti di mentalità così aperta da concedere all’artista una completa libertà di azione. Quello a cui è andata meglio è stato Schmidt. Subito dopo di lui veniva Hansen che, quando proprio gli andava male, si consolava costruendo edifici in terracotta. Il povero Ferstel deve aver sofferto le pene dell’inferno, costretto all’ultimo momento ad attaccare alla sua università interi pezzi di facciata realizzati in cemento. Tutti gli altri architetti dell’epoca, tranne rare eccezioni, non si tormentarono certo per sentimentalismi del genere.
Le cose sono cambiate? Vorrei che mi si dispensasse dal rispondere alla domanda. Imitazione e surrogati dell’arte dominano tuttora in architettura. Anzi, ancora di più. Negli ultimi anni sono emersi persino dei difensori di questa linea — uno per la verità rimasto anonimo in quanto la faccenda non gli pareva sufficientemente pulita —, sicché l’architetto-surrogato non ha più bisogno di tenersi modestamente in disparte. Oggi si è arrivati perfino ad attaccare con disinvoltura elementi strutturali sulla facciata e ad appendere le ‘pietre portanti’ sotto il cornicione, adducendo a giustificazione motivi artistici. Ebbene, accorrete araldi dell’imitazione, fornitori di complicatissimi intarsi, di sconciate finestre foicloristiche e di vasi di cartapesta! A Vienna fiorisce per voi una nuova primavera, la terra è concimata di fresco!
Ma forse che il soggiorno tutto rivestito di tappeti non è anch’esso un’imitazione? Le pareti non sono certo costruite con i tappeti! Non c’è dubbio. Ma questi tappeti devono essere solo tappeti e non mattoni, non devono essere scambiati per tali, non ne imitano né il colore né la forma, esprimono invece il loro vero significato come rivestimento delle superfici in muratura. Assolvono il loro compito secondo il principio del rivestimento.
Come abbiamo già detto all’inizio, il rivestimento è più antico della costruzione. Le sue giustificazioni possono essere di vario genere. Esso serve ora come protezione contro i danni delle intemperie, come la pittura a olio su legno, ferro o pietra, ora ha una motivazione igienica, come nel caso delle piastrelle smaltate che ricoprono la superficie dei muri nelle toilettes, ora serve per ottenere un determinato effetto, come quando si colorano le statue, si tappezzano le pareti, si impiallaccia il legno. Il principio del rivestimento, che Semper enunciò per primo, è applicabile anche alla natura. L’uomo è rivestito di pelle, l’albero di corteccia.
Partendo da questo principio del rivestimento, io formulo fra l’altro una legge molto precisa, che chiamerò la legge del rivestimento. Non spaventatevi. Le leggi significano in genere la fine di ogni progresso. Ed è vero che gli antichi maestri se la sono cavata benissimo anche senza leggi. Certo. Dove il furto è sconosciuto sarebbe superfluo creare leggi in merito. Quando i materiali che si usano per rivestimento non venivano ancora imitati non c’era bisogno di nessuna legge. Ora però sembra che sia giunto il momento.
La legge suona quindi così: bisogna operare in modo da escludere ogni possibile confusione fra materiale rivestito e rivestimento. Vale a dire: il legno si può dipingere di tutti i colori tranne uno: il color legno. In una città dove la commissione preposta all’Esposizione ha preso la decisione di dipingere tutto il legno della Rotonda come ‘finto mogano’, in una città dove il marezzo è l’unica decorazione della verniciatura del legno, questa legge è assai ardita. Pare che qui vi siano persone che giudicano cose di questo genere molto distinte. Gli unici manufatti in legno che sfoggiano colori decisi sono i vagoni ferroviari, le vetture tranviarie e le carrozze in genere: ma cosi è perché provengono dall’Inghilterra. Oso affermare qui che una vettura di questo tipo — in particolare se della linea elettrica — mi piace di più con i suoi colori decisi che non se fosse dipinta come ‘finto mogano’, secondo i principi estetici della commissione per l’Esposizione.
Ma anche nel nostro popolo sonnecchia, sebbene infossato e sepolto, il vero senso della signorilità. Se così non fosse l’amministrazione ferroviaria non potrebbe contare sul fatto che il colore marrone della terza classe, dipinta appunto in color legno, susciti un senso di minore signorilità rispetto al colore verde della seconda e della prima classe.
Una volta ho dimostrato a un collega in modo inequivocabile questa sensazione inconscia. Al primo piano di una casa si trovavano due appartamenti. L’inquilino di uno degli appartamenti aveva fatto dipingere di bianco, a sue spese, i serramenti esterni, che prima erano marroni. Si fece una scommessa e portammo un certo numero di persone davanti alla casa, senza far rilevare la differenza del colore delle finestre, e chiedemmo in quale delle due parti abitasse, secondo loro, il signor Pluntzengruber e in quale il principe Liechtenstein, due inquilini ai quali ci prendemmo la libertà di affittare ipoteticamente la casa. Tutti gli interpellati attribuirono univocamente la parte dipinta color legno a Pluntzengruber. Quel mio collega da allora dipinge tutto soltanto di bianco.
La pittura finto legno è naturalmente una invenzione del nostro secolo. Il Medioevo colorava il legno prevalentemente in rosso vivo, il Rinascimento in blu, il Barocco e il Rococò in bianco all’interno e in verde all’esterno. I nostri contadini sanno ancora ragionare quanto basta per pitturare tutto con colori decisi. Che effetto incantevole producono in campagna il portone verde e lo steccato grigio, le persiane verdi sul muro bianco appena intonacato. Purtroppo in alcune località ci si è già fatti corrompere dal gusto della nostra commissione per l’Esposizione.
Si ricorderà ancora l’indignazione che si diffuse nel campo dell’artigianato di imitazione allorché giunsero a Vienna, provenienti dall’Inghilterra, i primi mobili dipinti con colori a olio. Non contro il fatto che fossero verniciati era rivolta l’indignazione di questi prodi. Anche a Vienna quando si usava il legno dolce lo si colorava a olio. Ma che i mobili inglesi osassero esibire il loro colore in modo così sfacciato, invece di imitare il legno duro, faceva letteralmente uscire dai gangheri questi singolari tipi di santi. Volsero via lo sguardo e si comportarono come se il colore a olio non fosse stato mai usato prima di allora. C’è da supporre che questi signori siano convinti che i loro mobili e i loro lavori in legno dalle venature posticce siano stati presi finora per autentiche opere in legno duro.
Se io, che esprimo queste idee, non nomino nessuno degli imbianchini dell’Esposizione, ritengo di poter esser sicuro della riconoscenza di questa associazione.
Applicato agli stuccatori, il principio del rivestimento suonerebbe così: con lo stucco si può eseguire qualsiasi ornamento tranne uno — quello che imita la costruzione con mattoni a vista. Sembrerà inutile insistere su una cosa così ovvia, ma proprio di recente mi è stata fatta notare una costruzione in cui i muri intonacati erano dipinti di rosso con l’aggiunta di commessure bianche. Anche la tanto amata decorazione delle nostre cucine, che imita le pietre squadrate, rientra in questo gruppo. In generale tutti i materiali che servono al rivestimento delle pareti, e cioè tappezzerie, tele incerate, stoffe o tappeti, non devono cercare di imitare i mattoni o la pietra.
E adesso risulterà chiaro anche perché le gambe delle nostre ballerine in calzamaglia producono un effetto così antiestetico. La biancheria lavorata a maglia può essere di qualsiasi colore, tranne color carne.
Quando il materiale che viene ricoperto è dello stesso colore del materiale da rivestimento, quest’ultimo può mantenere il suo colore naturale. Così, per esempio, posso ricoprire il ferro, che è già nero, con uno strato di catrame, posso ricoprire (impiallacciare, intarsiare, ecc.) il legno con un’altra qualità di legno, senza che occorra colorare il legno di rivestimento; posso rivestire un metallo con un altro metallo mediante il fuoco o la galvanizzazione. Ma il principio del rivestimento vieta di imitare nel colore il materiale ricoperto. Perciò il ferro può benissimo essere incatramato, dipinto con colori a olio o galvanizzato, ma non può mai venir dipinto in color bronzo, cioè nel colore di un altro metallo.
A questo punto meritano un accenno anche le lastre di calcestruzzo con le quali alcuni imitano i pavimenti alla veneziana (mosaico), altri i tappeti persiani. Esiste indubbiamente una richiesta in questo senso — i fabbricanti devono pur conoscere la loro clientela.
Eppure no, voi imitatori, voi architetti del surrogato, vi sbagliate! L’anima dell’uomo è una cosa troppo alta e sublime perché voi possiate abbindolarla con i vostri mezzi e mezzucci. Il nostro misero corpo però è in vostro potere. Esso dispone di cinque sensi soltanto, che gli consentono di distinguere ciò che è autentico da ciò che non lo è. E dove l’uomo non riesce ad arrivare con i suoi cinque sensi, lì comincia il campo della vostra competenza, lì è il vostro regno. Ma ecco — ancora una volta vi sbagliate! Provatevi a dipingere sul soffitto di legno, in alto, bene in alto i più begli intarsi — forse i poveri occhi li accetteranno sulla fiducia. Ma la divina psiche non crederà alla vostra impostura. Nei più begli intarsi dipinti ‘come fossero veri’ essa sente che si tratta soltanto di colore a olio.
(4 settembre 1898)
I MATERIALI DA COSTRUZIONE
da: Adolf Loos, Parole nel vuoto, Adelphi, Milano 1972
(da pagina 73 a pagina 78)
Che cosa vale di più? Un chilo di pietra o un chilo d’oro? Sembra una domanda ridicola. Soltanto al commerciante, però. L’artista risponderà: per me tutti i materiali sono ugualmente preziosi. […]
L’artista ha una sola ambizione: dominare il materiale in modo che la sua opera risulti indipendente dal valore del materiale di cui è fatta. I nostri architetti però non hanno questa ambizione. Per loro un metro quadrato di muro fatto in granito ha più valore di uno intonacato. Il granito però non ha alcun valore di per sé. […] Eppure vi sono persone che lo considerano il materiale più pregiato. Queste persone dicono materiale e intendono lavoro. Forza di lavoro dell’uomo, mestiere e arte […]
Viviamo in un’epoca che dà più importanza alla quantità del lavoro. Perché questa è più facile da controllare, colpisce subito tutti nella sua evidenza e non richiede uno sguardo esperto o altre cognizioni particolari. Su quel punto non ci si può sbagliare. Un determinato numero di operai ha lavorato a una certa cosa per un determinato numero di ore e per un determinato compenso. Chiunque può eseguire il calcolo. E si vuole che chiunque sia in grado di rendersi conto facilmente del valore delle cose che lo circondano. Altrimenti quelle cose che scopo avrebbero? Quindi si tengono in maggior considerazione quei materiali che richiedono più tempo per la lavorazione. […]
Ogni tempo di lavorazione però […] costa denaro. E se il denaro non c’è? Allora si comincia a simulare il tempo di lavorazione, si imita il materiale. […]
Nel corso degli ultimi decenni il principio dell’imitazione ha dominato completamente l’edilizia. […] Soltanto di fronte al cemento, che è una conquista del nostro secolo, si è rimasti completamente disarmati. Siccome il cemento di per sé è un materiale stupendo, ci si attiene per valorizzarlo a un unico principio, quel principio che viene riproposto ogni volta che si inizia ad applicare un nuovo materiale: con questo che cosa si potrebbe imitare? Lo si è usato come surrogato della pietra. E, poiché il cemento è straordinariamente economico, se ne è abusato in ogni modo, sempre nel tipico stile da parvenus. […]
Ogni materiale possiede un linguaggio formale che gli appartiene e nessun materiale può avocare a sé le forme che corrispondono a un altro materiale. Perché le forme si sono sviluppate a partire dalla possibilità di applicazione e dal processo costruttivo propri di ogni singolo materiale, si sono sviluppate con il materiale e attraverso il materiale. Nessun materiale consente una intromissione nel proprio repertorio di forme. Chi osa, ciononostante, una tale intromissione, viene bollato dal mondo come falsario. L’arte non ha nulla a che fare con la falsificazione, con la menzogna. Le sue vie sono piene di spine, ma pure.