Progettare piscine sportive per il nuoto
Pensare agli utenti dentro e fuori la vasca è la chiave del successo dell'impianto natatorio
Un tuffo di testa nella progettazione degli impianti natatori: guida semiseria per progettisti che non sanno nuotare.
Quando si pensa alla piscina per nuotare, la prima cosa che viene in mente è la vasca piena d’acqua, con le corsie, le bandierine (che non attraversano la vasca per bellezza) e un po’ di gente che nuota avanti e indietro.
La vasca è il fulcro dell’attività a cui è preposto l’impianto sportivo in questione, l’utilitas dominante si dispiega proprio lì, le persone ci vanno apposta per nuotare. Ma non è detto che sia proprio la vasca e il suo specifico apparato impiantistico il tema principale dello sviluppo del progetto.
Bisogna mettersi nei panni dell’utente. Volendo scherzare, è ben poca cosa, stiamo parlando di costumini, anche abbastanza attillati, più asciugamano o accappatoio a volerla prendere larga.
Ironia a parte, bisogna considerare un pubblico che per quanto variegato, ha delle esigenze specifiche, diverse da quelle di chi accede alla piscina di un albergo, o di un parco acquatico, ossia a vasche non specificamente dedicate all’insegnamento e alla pratica del nuoto e altre attività sportive ancor più specifiche come la pallanuoto, il nuoto pinnato, sincronizzato, i tuffi e poi acquagym, hydrobike, acquafit cross, e tutto quel che l’industria del benessere sportivo può offrire in ammollo.
A tal proposito su Archweb sono disponibili anche diversi esempi di vasche per Centri benessere e Piscine da giardino.
Non si può dire che ogni disciplina voglia la sua vasca, ma è abbastanza chiaro che in un metro e mezzo d’acqua si va bene con la scuola nuoto, mentre i tuffi è meglio evitarli.
Giocando ancora con le parole, se la classe non acqua, nemmeno l’acqua è una classe, nel senso che non è sufficiente a definire un’unica tipologia, né di progetto, né tanto meno di utenza.
Sarebbe già sufficiente pensare al nuotatore (principiante o esperto non fa grossa differenza) per porre l’attenzione del progetto fuori dall’acqua. Si dà per scontato che questa sia adeguata in termini di temperatura, ricircolo, filtrazione, sanificazione, ecc. e che la vasca abbia dimensioni corrette. Ci sono norme specifiche, aziende specializzate e tra i disegni CAD di Archweb disponibili in download si trovano diversi esempi pronti all’uso.
Il nuotatore è l’utente della piscina, è esigente e ne ha ben donde.
Si diceva di concentrarsi sul pubblico, sul cliente della piscina, la persona alla quale l’impianto è principalmente dedicato, quella che con la sua frequenza, fidelizzazione e pagamento mantiene viva la struttura sportiva e rende profittevole l’investimento. Che questo sia pubblico o privato poco cambia, perché non si tratta solo di un mero ritorno finanziario, ma di più ampie ricadute sul territorio, sulla salute della cittadinanza e anche di un certo indotto.
Cosa fa il cliente di una piscina?
Almeno due o tre volte a settimana il nuotatore arriva all’impianto, deve parcheggiare, accedere, fare il biglietto, togliersi le scarpe e mettersi le ciabatte, avere a disposizione degli armadietti per il deposito di oggetti, accedere allo spogliatoio, cambiarsi, fare la doccia, attendere l’inizio del suo turno, accedere al piano vasca, appendere l’accappatoio, lasciare le ciabatte, entrare in acqua, nuotare e poi ripetere il tutto all’inverso, più asciugarsi i capelli. E se dopo tutto ciò trovasse anche un bar dove rifocillarsi, potrebbe pure fargli piacere.
Un sacco di roba! Soprattutto se si è portatori di qualche disabilità, o si hanno limitate capacità motorie anche transitorie, dovute ad esempio a un incidente, o a qualche articolazione da riabilitare.
Di solito, per ovvie ragioni igieniche, gli utenti accedono al piano vasca esclusivamente attraverso gli spogliatoi, ma questo non deve valere anche per il personale (assistenti bagnanti, istruttori, personale di pulizia e all’occorrenza personale sanitario).
Tra la zona interna dove si cammina con le scarpe (accessi, biglietteria, zona di cambio scarpe, ecc.), il primo soccorso, gli spogliatoi, le docce e il piano vasca ci dovrebbe essere per quanto possibile una certa differenza di temperatura e umidità, soprattutto in inverno. Entrambe dovrebbero crescere gradualmente man mano che si procede dall’esterno verso il cuore dell’impianto.
Una volta che il nuotatore entra in acqua cambia ambiente, non ha più a che fare con la “solita gravità”, mette sotto la testa e comincia anche a respirare diversamente, è quasi in un altro mondo. Il resto dell’impianto non gli interessa più, a parità di lunghezza vasca (25 o 50 metri), larghezza della corsia e qualità dell’acqua, quasi quasi un impianto vale l’altro.
Quando si sarà rimesso le scarpe, la percezione della qualità del servizio ricevuto e per il quale ha pagato, deriverà soprattutto dal personale (istruttori in primis) e da tutto ciò che dell’impianto non riguarda la piscina in sé, della quale gli rimarranno in mente soprattutto la temperatura, la pulizia e l’odore dell’acqua, caratteristiche che il progettista fa ben fatica a controllare e che possono variare da un giorno all’altro.
Non va dimenticato che la pratica del nuoto è particolarmente indicata non solo per lo sviluppo fisico dei giovani e il mantenimento della forma degli adulti, ma anche per prevenire e riabilitare i più svariati malanni, nonché per l’attività motoria di persone diversamente abili. Insomma, in piscina un bel po’ di gente comincia ad andarci perché gliel’ha detto il dottore. Non è un dato da sottovalutare, vuol dire che non ci va proprio così volentieri.
Tra quelli che la frequentano perché gli tocca bisogna aggiungere qualche bambino spinto dai genitori (così al mare stanno un po’ più tranquilli) e quelli che hanno la fortuna di poter fruire dell’impianto assieme ai compagni di scuola. Parecchie piscine, soprattutto al mattino lavorano proprio con le scolaresche d’inverno e con i centri estivi durante la bella stagione. Per bambini e ragazzi sono anche ottime occasioni di socializzazione, che però non avviene più di tanto in acqua, quanto in tutte quelle fasi accessorie pre e post nuotata.
Per tutti questi motivi, il progettista può e deve controllare diversi aspetti: la qualità degli spazi, degli accessi, dei percorsi, dell’aria interna e del soleggiamento. Hanno tutti un forte impatto sulla qualità percepita da parte del cliente.
Inoltre la facilità di pulizia e controllo delle zone pubbliche, l’accessibilità degli apparati impiantistici e una funzionale razionalità degli ambienti di servizio saranno sicuramente apprezzate prima dal personale dell’impianto, di riflesso dall’utenza e quindi dalla direzione.
La piscina è pericolosa perché si può annegare. Decisamente no. E chi nuota non lo pensa proprio.
Malori e malesseri a parte, che potrebbero capitare in qualsiasi altra attività sportiva, il nuoto è un’attività molto sicura, perché è praticamente esente da qualsiasi tipo di trauma. In più si nuota sempre sempre sotto sorveglianza e l’impianto deve prevedere personale e dotazioni di primo soccorso. Se togliamo pallanuoto e tuffi, che sono discipline specialistiche, nel nuoto non c’è mai contatto, non si salta e non si ricade a terra, quindi caviglie, ginocchia e schiena hanno ben poco da temere.
I problemi non arrivano tanto da quel che accade dentro la vasca, quanto da quel che succede fuori. In tutte le piscine è vietato correre, sul piano vasca e in spogliatoio, perché se va bene si scivola, se va peggio si decolla e poi si ricade, le superfici sono dure (quasi sempre piastrelle) e se ci sono spigoli vivi, i danni possono solo essere più gravi.
A tutto ciò il progettista deve prestare attenzione, non solo nella scelta di materiali antisdrucciolo (che è il minimo, ma a volte l’acqua è semplicemente troppa), ma anche nel disegno e nella disposizione degli elementi e degli arredi, nello schema dei percorsi, nelle pendenze per il deflusso dell’acqua, insomma a tutto ciò che può ridurre i “rischi di percorso” alla fonte.
Quando si è in piscina a nuotare non si vive di sola acqua, serve anche l’aria.
Come accennato, l’acqua della vasca ha il suo apparato impiantistico specifico ed è sottoposta a precisi controlli quotidiani, mentre non si può dire altrettanto per l’aria del piano vasca.
In esterno e in generale durante l’estate la questione non si pone, perché anche le piscine indoor dovrebbero essere sempre dotate di ampie aperture. Ma quando fuori fa freddo, si tiene tutto chiuso e l’ambiente viene riscaldato, la qualità dell’aria può risentirne, solo che di solito ci si dà meno importanza rispetto all’acqua.
Anche in questo caso sarebbe opportuno rivolgersi a ditte specializzate in HAVC per piscine, perché non si tratta solo di dimensionare l’impianto in base ad un certo volume d’aria, vanno considerati i moti convettivi naturali che variano durante il giorno e le stagioni, il continuo scambio termico con una corposa massa d’acqua a temperatura pressoché costante, nonché la sua evaporazione che include sostanze disinfettanti potenzialmente irritanti soprattutto per occhi, naso e gola.
Nuotare, magari a ritmi sostenuti (senza per forza essere atleti), assieme a parecchie altre persone, in un ambiente in cui l’aria è troppo calda, umida e magari pregna di cloro, significa provare una spiacevole sensazione di difficoltà a rifiatare e anche l’uscita dalla vasca può presentare dei problemi, perché lo scambio termico che il corpo ha con l’acqua viene a ridursi bruscamente.
Convezione naturale, ricircolo d’aria, soleggiamento sono elementi che l’architetto può tenere sotto controllo. E, come detto in precedenza, l’utente ci fa caso, questo si riflette sulla fidelizzazione, il piacere di andare in piscina, il fatturato, e tutto quel che ci va dietro.
In piscina non c’è solo chi nuota, ci sono altre persone, anche fuori dal piano vasca.
Tralasciando chi ci lavora, non si può prescindere dal fatto che in piscina i bambini ci arrivano accompagnati da genitori e/o parenti e la questione non si esaurisce in parcheggio. Le lezioni di nuoto non sono così lunghe da permettere agli accompagnatori di fare tante altre cose nel frattempo, giusto un po’ di spesa al volo, se il supermercato è vicino. In più, soprattutto i più piccoli vanno aiutati a cambiarsi in spogliatoio.
Non verrebbe da pensare che almeno il numero di persone che possono entrare nella “vasca piccola” (cioè i bambini) vada raddoppiato in relazione al dimensionamento dello spogliatoio? Forse sì. Dare la possibilità alla mamma di appendere il cappotto da qualche parte prima di crepare per clima equatoriale sarebbe molto carino… è lei che paga per il figlio.
Di sicuro bisogna pensare che negli spogliatoi ci deve essere spazio per i vestiti del doppio di persone che possono entrare in acqua: quelli del turno in corso e quelli del successivo.
La comodità dello spogliatoio, il numero di docce, la pulizia dei servizi igienici, la disponibilità e la sicurezza degli asciugacapelli sono fra le cose che determinano la qualità percepita da parte dell’utente. Per fidelizzare il cliente che può scegliere tra il nostro impianto e un altro circa equidistante, bisogna giocare anche su questi dettagli in fase di progetto, perché poi le aggiunte sono chiaramente più difficoltose.
Le norme forniscono indicazioni e standard minimi, ma l’utente non conosce la normativa e di certo non gli interessa che siano rispettate le disposizioni minime.
Cosa fanno i genitori mentre i figli fanno scuola nuoto? Li guardano. Cosa fanno i bambini del corso di nuoto mentre i genitori li guardano? Li salutano. Fare le bracciate e contemporaneamente salutare la mamma, ogni bracciata, di ogni vasca, per tutta la lezione, è un esercizio difficilissimo, infatti si stufa anche il maestro e i progressi dei piccoli pesciolini lasciano un po’ a desiderare. Bisognerebbe che i grandi potessero guardare senza essere visti.
Matronei da chiesa romanica? Spioncini e telecamere nascoste? Oppure falsi specchi come nelle camere da interrogatorio? Esagerazioni certo, ma qualcosa ci si può inventare. Già porsi il problema è un ottimo inizio per risolverlo.
Tutt’altra cosa è il giorno del saggio di fine corso. Per nonne, zie e cugini vari servono le tribune, almeno come per le competizioni giovanili a carattere locale.
Ebbene sì! Ci sono anche i gruppi sportivi, pre-agonisti, master e sorvoliamo sui triatleti che tanto loro saltano anche i fossi per lungo.
Non ci saranno mai le tifoserie di uno stadio di calcio, ma almeno i percorsi e i servizi dedicati agli spalti devono essere ben separati da quelli di accesso agli spogliatoi. Può darsi che non serva una biglietteria apposita, ma la possibilità di controllare gli accessi, la visuale degli addetti sulle tribune e eventualmente poter garantire un minimo di servizio d’ordine sarebbe cosa apprezzabile dalla direzione responsabile dell’impianto, che potrebbe anche coincidere con il committente del progettista.
E cosa fa il “tifoso” quando gareggiano batterie che non gli interessano più di tanto (in sostanza quelle dove non gareggiano i figli)? Ecco qui che torna buono anche il bar.
Immagine di copertina: Marcelo Uva on Unsplash
Altri riferimenti progettuali su sporteimpianti.it